L’attività fisica in età evolutiva migliora i processi cognitivi dei bambini in età scolare; questa la conclusione di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Berna che sembra confermare la validità dell’educazione motoria anche nell’età evolutiva. Secondo questa ricerca l’attività fisica migliora i processi cognitivi degli alunni di scuola primaria, in quanto implementa le funzioni esecutive, il cui ottimale funzionamento è alla base del successo nell’apprendimento.
Per compiere tale studio sono stati utilizzati 104 bambini, divisi in due gruppi, ovvero il gruppo sperimentale, costituito da 51 minori, e il gruppo di controllo, formato da 53 bimbi. Il gruppo sperimentale è stato sottoposto ad un’intensa attività motoria, della durata di venti minuti, che ha incluso anche compiti cognitivi relativi alle funzioni esecutive. Inoltre, nei bambini del gruppo sperimentale è stato prelevato un campione di saliva per misurare il livello di cortisolo, prima dell’attività motoria, subito dopo e a distanza di quaranta minuti.
Nello specifico, lo studio si è posto l’obiettivo di verificare se l’attività motoria modifica le funzioni esecutive dei bambini e se tali modificazioni sono in rapporto alle variazioni della concentrazione di cortisolo, prodotte dall’attività stessa.
Le funzioni esecutive possono essere definite come procedure cognitive che hanno lo scopo di pianificare ed organizzare i comportamenti e le emozioni di un individuo, allorquando si confronta con nuove realtà contestuali, particolarmente difficoltose, che richiedono la mobilizzazione di strategie adattative (Owen, 1997). Nel bambino le funzioni esecutive compaiono dal primo anno di vita e proseguono la loro strutturazione e implementazione nel corso dello sviluppo, fin oltre l’adolescenza. Queste abilità cognitive determinano le variazioni nell’adattamento sociale e nelle performance legate agli apprendimenti scolastici.
Le funzioni esecutive, secondo il modello elaborato da Miyake et al. (2000), sono costituite da tre capacità, utilizzate nelle strategie di problem solving. Esse sono:
- l’inibizione o controllo inibitorio;
- la memoria di lavoro;
- la flessibilità di risposta cognitiva.
L’inibizione è rappresentata dall’abilità che consente di non far interferire, nel compito che si svolge, impulsi e informazioni non pertinenti, che potrebbero esercitare il ruolo di distrattori (Miyake et al., 2000).
La memoria di lavoro è quella competenza che permette di conservare il ricordo, per un breve lasso di tempo, di tutte quelle nuove informazioni utili allo svolgimento di un’attività (Miyake et al., op. cit.).
La flessibilità di risposta cognitiva è la capacità di variare i propri modi di pensare e di agire per adattarsi ai cambiamenti richiesti dall’ambiente o dalla natura del compito che si esegue (Miyake et. al., op. cit.).
L’incremento di tali funzioni ha come conseguenza lo sviluppo delle capacità di attenzione selettiva e di ragionamento, responsabile di un miglioramento degli apprendimenti scolastici.
I risultati della ricerca di Jäger e collaboratori. (op. cit.) hanno appurato che un’intensa attività fisica in età evolutiva, nell’ambito della quale sono contenuti dei giochi cognitivi, conduce ad un’implementazione del controllo inibitorio.
Probabilmente alla base di tale incremento ci potrebbe essere l’aumento del cortisolo, derivante proprio dall’attività fisica. Infatti il cortisolo, modulando la produzione di alcuni neurotrasmettitori, sembra intervenire su alcuni processi cognitivi, come la percezione, l’attenzione selettiva e la memoria (Erickson et al., 2003; Lupien et al., 2005).
Sempre secondo la ricerca citata (Jäger et al., op. cit.) l’attività fisica ha, invece, un effetto più modesto sulle altre funzioni esecutive, ovvero sulla memoria di lavoro e sulla flessibilità di risposta cognitiva.